Album di fotografie e descrizione dell'escursione sulle colline del carso monfalconese, Arupacupa (Quota 144 m.), Cosich 112 m. e Debeli 139 m. Alle spalle della cittadina di Monfalcone (GO), si trova una lunga dorsale di basse alture, ricoperte da una folta vegetazione, che separano il Golfo di Trieste dal brullo tavolato del Carso di Doberdò. Tutta la zona fu aspramente contesa durante la Prima Guerra Mondiale 1915-18 ed in particolare modo nel periodo settembre-novembre 1916, quando infuriarono la Settima, l’Ottava e la Nona battaglia sul fronte isontino. Oggi la maggior parte delle trincee e dei manufatti bellici sono nascosti dalla vegetazione, soltanto i principali monumenti commemorativi sono stati liberati dall’intricata vegetazione della landa carsica e si possono visitare lungo un itinerario storico ad anello.
ACCESSO - Al termine dell'autostrada A4, in direzione di Trieste, all’uscita Lisert-Monfalcone est si prosegue per la strada del Vallone (SS 55), in direzione di Gorizia. Dopo circa tre chilometri si raggiunge il paese di Jamiano, superata la chiesa di San Antonio di Padova, si parcheggia sulla destra, nei pressi di una trattoria. Dalla parte opposta della strada due grandi tabelloni informativi indicano l’inizio dell’escursione.
Una larga carrareccia, consente di salire il versante nord della
collina, dappertutto resti di trincee e camminamenti nascosti dalla
vegetazione. Raggiunto un bel spiazzo verde ben delimitato, inizia una
breve scalinata con gradini scavati nella roccia, che conduce alla
sommità del colle Arupacupa o Quota 144 m. (Gorjupa Kupa).
Bella vista a
360° gradi, dal mare Adriatico al pianoro di Doberdò, dalle alture sopra
il Vallone fino al lontano monte Ermada. Sull’ampia cima piatta si
trovano i monumenti, che ricordano il sacrificio dei reparti italiani
per la conquista della vetta, i Bersaglieri ciclisti del III e XI Batt. al comando del
tenente colonello Paride Razzini e dei fanti dei Reggimenti 131°
e 132°. Superata la
sommità si scende dal versante opposto della salita con un ripido
sentierino che consente di tagliare il versante meridionale della
collina e di raccordarsi con una carrareccia che prosegue la discesa
verso un ampio vallone. Lungo la discesa si visita un complesso di
profonde e lunghe caverne, costruite durante la Grande Guerra e
successivamente riutilizzate nel periodo della “Guerra Fredda”.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, l'Europa entrò nel
clima della Guerra Fredda, a seguito della divisione del continente in
due parti, a occidente i membri della NATO con gli Stati Uniti
d'America, a oriente l'Unione Sovietica e gli alleati del Patto di
Varsavia. Il nuovo confine tra questi due schieramenti, tra l’Italia e
la Jugoslavia fino al 1991 (oggi Slovenia), correva di nuovo lungo le
stesse terre
coinvolte nella Prima Guerra Mondiale, il Carso di Doberdò e quello di
Comeno.
Negli anni Cinquanta/Sessanta l’esercito italiano, per il timore
di una invasione da parte dell'esercito jugoslavo e sovietico,
riutilizzò, ampliando e fortificando,
buona
parte del sistema di caverne e gallerie della Grande Guerra. Ancora
oggi, sono diverse le testimonianze di questi manufatti bellici che si
possono osservare sui versanti dei colli Quota 144
e Debeli: torrette
di postazioni “osservatorio” mimetizzati con le pietre carsiche, piccoli
coni metalicci (prese d’aria) che rivelano la presenza di bunker
sotterranei, ai quali si può accedere con ripide scale, nascoste e
protette, da pesanti porte di ferro (oggi spesso aperte)..
Raggiunta la sella che separa il colle Quota 144 con il Debeli, si continua sulla sinistra lungo un’ampia carrareccia, (direzione lago di Pietrarossa), si segue un caratteristico muretto a secco carsico, che delimita la strada, fino ad individuarne un’apertura che indica la deviazione per il colle Debeli. Prestando attenzione ad alcuni piccoli bolli rossi, si sale lungo un impervio sentierino all’interno di un fitto bosco di conifere. In prossimità di due grandi tralicci dell’alta tensione si raggiunge la sommità del colle Debeli 139 m. Nascoste dalla vegetazione, invase da intricati cespugli si individuano diverse trincee completamente abbandonate, in un triste stato d’incuria, che le rendono impraticabili. Si continua sulla lunga cresta dell’altura in direzione ovest (sentiero CAI n° 72) e si scende all’ampio prato che separa le alture Debeli e Cosici. Attraversata l’ampia sella, superato un crocevia di strade e sentieri, si prosegue sulla traccia (sentiero CAI n°80) che in breve e con una facile salita conduce alla sommità del colle Cosici 112 m. Il panorama è molto aperto e spazia verso nord, sugli altipiani carsici di Doberdò e Comeno fino alle lontane Alpi Giulie, mentre verso sud si osservano i tristemente famosi colli di Quota 85 "Enrico Toti" e 121 “Cima di Pietrarossa”, a chiudere l’orizzonte, il Golfo di Trieste con il mare Adriatico. Sulla piccola cima, con occhio attento, si possono osservare diversi resti di postazioni e trincee fortificate, purtroppo anche queste trascurate e invase dalla bassa vegetazione carsica. Rientrati alla sella tra Cosici e Debeli si prosegue sulla larga carrareccia verso sud. Al successivo bivio, si tralascia un sottopassaggio e si continua sulla strada parallela all’autostrada, in direzione est. Si cammina sul campo di battaglia della Grande Guerra. Si intuisce chiaramente la difficoltà dell’esercito italiano di proseguire l’avanzata, che dopo la conquista dei primi colli monfalconesi, per attaccare la nuova linea difensiva austro-ungarica Cosici-Debeli-Quota 144, doveva prima scendere nella valle paludosa di Pietrarossa (dove oggi corre l’autostrada) e risalire il pendio sotto il costante fuoco austriaco. La strada prosegue con alcuni dolci sali-scendi, ai piedi del colle Debeli, aggira il versante est ed infine conclude l’itinerario ad anello nuovamente al paesino di Iamiano.
DIFFICOLTA' - Il sentiero storico della Grande Guerra sui colli Arupacupa (Quota 144 m.), Cosich e Debeli è facile. I tempi di percorrenza sono indicativi, possono aumentare proporzionalmente all'interesse soggettivo della visita storica. Nelle gallerie è necessaria la lampada frontale se si desidera affrontare le ripide scale.
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Escursione sui colli "Quota 144", Cosich e Debeli |
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Durata della visita: | 3,00 - 4,00 h. |
Difficoltà: | facile |
Cartografia |
Carso di TS, Go e sloveno - Transalpina 1:25.000 |
NOTE STORICHE della Grande Guerra sui colli "Quota 144", Cosich e Debeli. Coloro che raggiungono la città di Trieste con l'autostrada A4, dopo un centinaio di chilometri di piatta pianura, entrano nella zona carsica e si trovano ad affrontare alcuni saliscendi con lunghe curve tra due dorsali collinose. Pochi sanno che quelle anonime alture sono state il teatro di cruenti scontri durante la Prima Guerra Mondiale. Oggi, soltanto la lettura dei diari del tempo, possono offrirci una minima immagine delle sofferenze dei combattenti su questi dolci colli. Da "Il ritorno sul Carso" L.Bartolini: "Bisognava vederli i soldati che tornavano da quota 144! Se uno avesse fatto una raccolta di Cristi, i più magri che gli antiquari vanno a scovare per le vecchie sacrestie ... e li avesse vestiti di sbrindellato grigio verde, sporco di terra rossastra, avrebbe resa, al vero, la scena dei fanti a riposo." Dopo la Sesta Battaglia d’Isonzo (6-17 agosto 1916), i soldati italiani iniziarono la conquista del Carso di Comeno cercando di avanzare verso la roccaforte dell’Ermada. Era questo il fondamentale caposaldo a difesa della città di Trieste e si trovava dietro la prima linea difensiva austro-ungarica, la quale si snodava dalla quota 208 sopra il Vallone fino alla quota 144 sopra Iamiano. Il 16 settembre 1916 (VIIª Battaglia dell’Isonzo) le truppe italiane conquistarono la Quota 144, per merito dei fanti della Brigata Cremona assieme ai bersaglieri ciclisti appiedati del Genova Cavalleria. Nelle giornate successive difesero la vetta dai contrattacchi austro-ungarici, ma non riuscirono a sfruttare il successo per proseguire nell’offensiva. Infatti le truppe austriache predisposero un complesso sistema difensivo che scendeva dalle pendici di Quota 144 (la cima era in mano italiana) fino al paese di Iamiano. Postazioni di mitragliatrici, linee di reticolati, camminamenti scavati nella roccia, comandi e ricoveri per truppa in caverna consentirono agli austriaci di resistere fino al 23 maggio 1917, quando con la Decima Battaglia d’Isonzo gli italiani riuscirono a superare la linea, con un’azione combinata dalle Quote 144 e 208 sud, e il fronte avanzò verso Medeazza e la linea del Flondar. La formidabile resistenza da parte dell’imperialregio esercito in questo settore del fronte era da attribuire ad una nuova tattica difensiva introdotta dal Comando austroungarico nel periodo 1916-1917. Un'innovativa strategia di combattimento ideata dall'esercito francese, ma messa in pratica dall’esercito tedesco sul fronte occidentale delle fiandre, chiamata difesa elastica. Sul fronte carsico gli austriaci la ribattezzarono Hundertmeterlinie (linea a cento metri) una tecnica di difesa e contrattacco, che si articolava su due linee. Quando iniziava l’attacco italiano, preceduto dalla fase preparatoria delle artiglierie, sulla prima linea avanzata, gli austro-ungarici lasciavano soltanto pochi soldati con compiti di vedetta, mentre sulla seconda linea distante un centinaio di metri si ammassavano le truppe, al riparo in sicuri ricoveri scavati nelle viscere della montagna. Appena terminato il bombardamento, in concomitanza all’inizio dell’assalto della fanteria italiana, gli austroungarici rioccupavano la prima linea, fronteggiando l’attacco. Con questa nuova tecnica, gli imperiali non si accanivano a resistere sulla prima linea, ma cercavano inizialmente di frenare lo slancio dell’assalto che lentamente tendeva ad esaurirsi in profondità, e in seguito ripartivano al contrattacco. |
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