Album di fotografie e descrizione del Museo all’aperto della Grande Guerra sull’Altopiano carsico di Comeno, con la visita dei colli: Cerje (Veliki Hrib), Dosso Faiti (Fajtji hrib), Pečinka e Pečina. La grande zona del Carso Isontino si compone di due parti, il Carso di Doberdò a occidente, e il Carso di Comeno ad oriente, al centro a dividerli, si trova la profonda fenditura naturale del terreno chiamata “Vallone”. Il Carso di Comeno oggi si trova nella Repubblica di Slovenia, ed ha una struttura molto articolata, inizialmente sale ripido dal “Vallone”, prosegue poi con un vasto altopiano, ricco di dossi e doline ed infine termina a settentrione con una lunga catena di colli, chiamata Črni hribi (colline nere), che separano l'Altopiano stesso dalla Valle del Vipacco. Queste alture furono testimoni di spaventosi scontri durante la Prima Guerra Mondiale 1915-18, il Carso di Comeno si trasformò in un’inferno di pietra nell'autunno del 1916, quando infuriarono la Settima, l’Ottava e la Nona Battaglia sul fronte isontino. La nostra proposta prevede la visita dei luoghi storici più significativi della Grande Guerra, durante un itinerario ad anello, particolarmente consigliato in primavera al risveglio della natura o in autunno, quando il terreno carsico raggiunge il massimo della sua bellezza, poiché s’infiamma del rosso fuoco degli scotani (albero della nebbia o sommacco).
ACCESSO - Dall'Italia: all’uscita dell'autostrada A4 (direzione Trieste-casello Lisert-Monfalcone est) si prosegue per la strada del Vallone (SS 55), che collega Monfalcone a Gorizia. Prima d'entrare nel capoluogo isontino, (in zona aeroporto), si supera l'ex valico frontaliero di Miren e si entra in Slovenia. Superato il ponte sul fiume Vipacco e il paese di Miren/Merna, si prosegue sulla strada, in salita e leggermente tortuosa, in direzione del paese Opatje selo/Opacchiasella. Salito il versante nord-est dell’altopiano di Comeno, nei pressi della località di Pri Drage 200 m., si trova un grande parcheggio.
ITINERARIO - All’interno
dell’ampio parking si trova una tabella informativa, dove sono indicati
i sentieri e i vari luoghi d’interesse storico che si possono trovare in
questa zona ai piedi del colle Cerje-Veliki Hrib. Proseguendo a piedi
lungo la strada asfaltata in direzione del monumento di Cerje, dopo
alcune centinaia di metri si trova sulla destra l’indicazione per
visitare i resti di un ex cimitero di guerra italiano. Un
sentierino scende verso il fondo di una profonda dolina, dove si
trovavano ricoveri in caverna e baracche. Un piccolo monumento a forma
di tempietto identifica l’area del cimitero militare, sulla lapide fino
a pochi anni fa, si poteva leggere una dedica: “Alla memoria degli eroi
caduti immolando la giovine vita per la grandezza della Patria, 2
novembre 1916”. Rientrati sulla strada asfaltata si prosegue fino ad un
grande incrocio, si continua in leggera salita in direzione nord, verso
la Torre di Cerje, che oramai si intravede sopra il limite superiore
della pineta.
Una breve deviazione sulla sinistra consente di visitare
alcune trincee, parzialmente recuperate, della dolina di Srčandol.
Ripreso il sentiero, si continua la salita attraverso la landa carsica
fino a raggiungere la sommità del colle Veliko Cerje-Veliki Vrh 343
m.
Dall'ottobre 2013, sulla vasta vetta, si trova il Monumento
dedicato ai Difensori della Terra Slovena. Si tratta di una colossale
torre, simbolo della difesa del popolo sloveno contro i vari invasori
che si sono succeduti nel corso della storia, dalla Prima Guerra
Mondiale, alla Resistenza contro il Fascismo, fino alla Seconda Guerra
Mondiale e all’ultima guerra per l’indipendenza della Slovenia.
All’interno del monumento si trova una mostra sulla Grande Guerra,
mentre dall’ultimo piano si ammira un panorama straordinario, un colpo
d’occhio a 360° gradi unico, che abbraccia tutto il territorio delle
Dodici Battaglie dell’Isonzo. Dalle basse e lunghe vetrate, che
ricordano le feritoie delle postazioni della Grande Guerra, lo sguardo
spazia verso nord, sulla vallata di Gorizia circondata da tutti i monti
che furono i teatri delle più sanguinose battaglie sul fronte del Medio
e Alto Isonzo: Calvario,
Sabotino,
Monte Santo,
Canin,
Monte Nero,
Monte
Rosso, Mrzli vrh e
San Gabriele. Verso sud, la vista corre sul Carso di
Comeno e di Doberdò, per perdersi all’orizzonte sul Golfo di Trieste e
il Mar Adriatico.
Discesi dalla zona monumentale, si prosegue a sinistra, direzione est, su una larga carrareccia che inizia la traversata della catena Črni hribi. Aggirati i primi due colli, dopo circa venti minuti di piacevole camminata attraverso la landa carsica, si individua con difficoltà, sulla destra, un piccolo bollino rosso, che indica una deviazione dalla strada principale. Si continua lungo uno stretto sentierino che risale un pendio ricoperto da un fitto bosco ed in breve si arriva sul Dosso Faiti o Dosso dei Faggi (Fajtji hrib) 434 m. La sommità non rivela nulla delle terribili battaglie che si svolsero lungo i suoi pendii e rarissime sono le testimonianze. Anche il panorama è molto limitato a causa della pineta che ricopre la vetta, attraverso i tronchi d’alto fusto si riesce ad ammirare soltanto un bel scorcio verso il monte Ermada. Si rimane meravigliati nel constatare, (dopo aver visionato vecchie fotografie al tempo della guerra, che mostrano il colle completamente senza vegetazione) come la natura in cent’anni abbia voluto cancellare tutti i ricordi dell’inutile massacro di giovani vite.
Da questo punto c'è la possibilità di fare la traversata completa della catena Črni hribi fino all'estremità orientale, il colle Trstelj, indicato però ad escursionisti allenati, a causa della lunghezza del percorso (circa 14 km) tra andata e ritorno e i continui saliscendi.
Il nostro percorso, dal Dosso Faiti,
ritorna indietro lungo lo stesso sentierino di
salita fino a un grande
incrocio. Abbandonata
la strada che rientra a Cerje, si devia a sinistra, e si prosegue in
direzione sud, con una
strada sterrata attraverso il Carso di Comeno. Circondati dalla
bellissima macchia carsica, la via taglia una vasta area pianeggiante
con un percorso praticamente diritto e raggiunge,
dopo circa un chilometro, la principale
strada militare della zona durante la Grande Guerra. Qui infatti si
trova un interessante monumento che ricorda la sua costruzione ad opera
del K.u.K.43° Reggimento romeno di fanteria e intitolata al comandante
del VII Corpo d’Armata, arciduca Giuseppe “Erzherzog Joseph Strasse”.
Inoltre il monumento ricopriva anche il ruolo di pietra miliare
riportando la distanza tra i paesi di Lokvica/Loquizza e Kostanjevica/Castagnevizza.
Di fronte si trova una grande pietra sagomata a forma di sedia, che si
racconta prese il nome di “trono di pietra di Borojević” in onore del
comandante di tutte le forze austo-ungariche del settore dell'Isonzo
(Isonzo Armée).
Dietro al
monumento, sempre in direzione sud, alcune tracce di sentierini
conducono a due poco pronunciati colli: il Pečinka quota 292 m. e
il Pečina quota 308 m. Sulla prima altura rimangono poche
testimonianze, una lunga trincea ripristinata e alcuni ruderi di
postazioni fortificate per mitragliatrici. Molto interessante è invece
il secondo colle, il Pečina. Ai piedi del versante nord, si trova
l’entrata di una grande caverna naturale,
che fu trasformato in profondo ricovero durante la Grande Guerra delle
truppe austroungariche. (Per visitare la grotta è necessaria la
prenotazione, per informazioni contattare il comune di
Miren-Kostanjevica). Dall’uscita superiore della grotta o seguendo i
sentierini esterni, si raggiunge la cima del colle Pečina dove si
visitano alcune trincee in cemento armato ben conservate e soprattutto,
la postazione “Osservatorio d'artiglieria”.
Grazie alla sua posizione
dominante sull’Altopiano di Comeno, gli
austriaci avevano installato sulla cima uno dei più potenti riflettori
del Carso. Recentemente è stata ricostruita la scala per il carrello che
dalla caverna lo portava in cima, all’interno di uno scivolo scavato
nella roccia. Di notte il suo fascio luminoso, indagava e illuminava
ogni roccia, ogni anfratto, alla ricerca del nemico, per questo motivo
era soprannominato “l’occhio del Carso”, mentre di giorno si
riparava nel ventre della collina al riparo dell’artiglieria avversaria.
Anche l’esercito italiano, dopo la conquista di quota Pečina, utilizzò
la postazione come osservatorio per l’artiglieria. Rientrati sulla
carrareccia, ex “Erzherzog Joseph Strasse”, si prosegue in direzione
ovest (Lokvica/Loquizza). Raggiunto
un grande incrocio di strade, una tabella informativa indica la presenza
di un’interessante “štirna”, nome con
cui gli abitanti del carso chiamano un pozzo d’acqua, bene preziosissimo
nell’arido ambiente carsico. Si visita l’interessante “Štirna Vrh drage”,
costruita circa due secoli fa in una piccola dolina, dove il fondo
veniva impermeabilizzato con l’argilla. La grande cavità, rinforzata con
due muri circolari, si riempiva con l’acqua piovana, che successivamente
veniva prelevata grazie ad una scaletta di pietra. La Štirna venne
utilizzata come cisterna d'acqua da ambedue gli eserciti, furono gli
austriaci ad ampliarla per rifornire le truppe del vasto accampamento di
Segeti. Recentemente è stata ripulita e restaurata. L’itinerario storico
ad anello, affronta l’ultimo tratto, con una lunga traversata della
macchia carsica, che riporta nuovamente al punto di partenza, il
parcheggio in località Pri Drage Vrhu.
DIFFICOLTA' - Il sentiero storico della Grande Guerra sul Carso di Comeno è facile. I tempi di percorrenza sono indicativi, possono aumentare proporzionalmente all'interesse soggettivo della visita storica.
Vai alla galleria di fotografie:
Escursione sui colli Cerje (Veliki Hrib), Dosso Faiti (Fajtji hrib) e Pečina |
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Durata della visita: | 3,00 - 4,00 h. |
Difficoltà: | facile-media |
Sviluppo: | 13 km |
Cartografia |
Carso di TS, Go e sloveno - Transalpina 1:25.000 |
NOTE STORICHE della Grande Guerra sui colli Cerje (Veliki Hrib), Dosso Faiti (Fajtji hrib) e Pečina Durante la Sesta Battaglia d’Isonzo (6-17 agosto 1916), i soldati italiani iniziarono la conquista del Carso di Comeno, il 12 agosto superarono il "Vallone" e salirono le balze carsiche del Nad Logem fino al paese di Oppachiasella (Opatje Selo), dove furono fermati dalla tenace difesa austro-ungarica, sulla linea Volkovniak-Pečinka-Veliki Hrib. Nei mesi successivi il generale italiano Cadorna, convinto della bontà della sua tattica militare di “lento logoramento dell’avversario” proseguì l’attacco sul Carso di Comeno con tre offensive, chiamate “spallate”, la Settima, l’Ottava e la Nona Battaglia dell’Isonzo. Nei mesi autunnali del 1916, si susseguirono gli assalti, ma come per le precedenti battaglie, ci furono scarse conquiste territoriali in relazione al numero di soldati impiegati ed al numero di caduti. Le truppe italiane si trovarono di fronte all’ennesimo invalicabile “muro” difensivo austro-ungarico, creato grazie ad una previdente scelta tattica del loro Comando, che già dall’anno precedente, quando erano in corso le prime cinque battaglie dell’Isonzo sull’Altopiano di Doberdò, avevano iniziato i lavori per creare diverse linee difensive fortificate sull’Altopiano di Comeno davanti alla roccaforte del monte Ermada. Inoltre anche il terreno sul quale si svolgevano i combattimenti era più complicato per chi doveva andare all’assalto, se possibile il Carso di Comeno era peggiore del Carso di Doberdò, più vasto, più articolato (più doline, dossi, grotte naturali) più alto (da una media di 200 metri d’altitudine si passava ad una di 400 metri) e soprattutto con pochissime fonti d’acqua. Nonostante tutto, dalle insidie del terreno carsico, alla tenacia difensiva austro-ungarica, l’esercito italiano avanzava, lentamente, ma avanzava. Perché in realtà, la tanto criticata tattica del Comandante generale Cadorna (che colpevolmente non considerava minimamente la vita dei suoi soldati, mandandoli al sistematico macello) stava dando i suoi frutti, la Quinta Armata austro-ungarica di Boroević più di una volta era stata al limite del collasso. La colpa più grave dei generali italiani fu di non sfruttare mai il momento favorevole, come ad esempio dopo la presa di Gorizia o dopo la conquista del paese di Iamiano, quando si sarebbe potuto spezzare la difesa austriaca sul fronte isontino definitivamente. Lentezza e prudenza eccessiva, mancanza di conoscenza del terreno e delle condizioni dell’avversario, non ascoltare mai gli ufficiali subalterni che dalla prima linea suggerivano di incalzare gli austriaci nei loro rari momenti di difficoltà (come fecero a schieramenti invertiti un anno dopo gli austro-tedeschi sul monte Kolovrat e sul monte Matajur, dopo la disfatta di Caporetto), furono gli errori più gravi. Con queste premesse fu inevitabile che anche il Carso di Comeno si trasformasse in un inferno di pietra. Con la Settima Battaglia dell'Isonzo (14-17 settembre 1916) e l'Ottava Battaglia dell'Isonzo (9-12 ottobre 1916), gli italiani non ottennero nessun successo. Centinaia di migliaia di proiettili frantumarono la roccia carsica, cancellarono i boschi, gli arbusti fino ai singoli fili d’erba. In questo arido e spoglio deserto di sassi, attaccanti e difensori vissero e si sacrificarono in modo disumano e il numero di caduti fu impressionante. (Nelle tre Battaglie le perdite italiane furono 67.000 uomini, tra morti, feriti e dispersi; fra quelle austro-ungariche 52.000). Soltanto con la Nona battaglia dell'Isonzo (1-4 novembre 1916), l'esercito italiano riuscì a conquistare le difese orientali austro-ungariche dell'Altopiano. Il 1 novembre vennero conquistate le alture del Veliki Hrib e del Pečina, mentre le brigate Spezia e Barletta riuscirono ad occupare la strada tra Oppachiasella e Castagnevizza. Il 3 novembre 1916, dopo un forte contrattacco austro-ungarico, gli italiani approfittando di un momento di crisi degli avversari, riuscirono a conquistare il Dosso dei Fanti (Fajti Hrib) con la Brigata "Lupi" di Toscana, la stessa che aveva preso la vetta del Sabotino nell’agosto dello stesso anno. I fanti della Brigata Toscana del 78° Reggimento, furono soprannominati "Lupi" perchè si racconta che in precedenti scontri, gli austriaci davanti all'eroismo dei suoi soldati avessero gridato " questi non sono uomini ma lupi". (Da qui il motto: Tusci ab hostium grege legio vocati luporum "I Toscani sono chiamati dal gregge dei nemici legione di lupi"). |
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